sabato 15 ottobre 2011

Bistrot Philo 16a puntata. "L'arte è rivelazione filosofica in oggetti"

Che cos’è l’arte? Quale differenza si pone tra arte e filosofia?
Secondo Friedrich Schelling ( 1775-1854 ) ogni opera d’arte è sia un oggetto concreto sia un prodotto dello spirito. Infatti ogni creazione artistica prevede la presenza sia del mestiere, ossia di un’efficace capacità manipolativa del reale, sia dell’ispirazione, un fattore del tutto immateriale e spirituale. E mentre il mestiere si acquisisce con l’esperienza, l’ispirazione è suggerita dall’inconscio, sembra provenire dall’esterno, dalla natura stessa. L’arte, in conclusione, nasce dalla perfetta confluenza di spirito e materia, conscio ed inconscio, mente e oggetto. Quindi l’intuizione estetica rappresenta una forma di conoscenza altrettanto valida di quella logico-discorsiva. Anzi, per questo suo carattere globale e totalizzante, l’arte si avvicina alla verità più della filosofia stessa. Mentre con la filosofia l’uomo giunge al vero attraverso la ragione, creando o fruendo dell’arte egli vi si avvicina con tutto il suo essere. Per questo l’arte è obiettiva e gode di una validità universale, una capacità di comunicazione superiore a qualsiasi altro strumento intellettuale.
Da L’idealismo trascendentale…”Se l’intuizione estetica non è se non l’intuizione intellettuale divenuta oggettiva, s’intende da sé che l’arte sia l’unico vero ed eterno organo e documento insieme alla filosofia, il quale sempre e continuamente di nuovo attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell’agire e nel produrre e la sua originaria identità con il conscio.
L’arte appunto perciò è per il filosofo quanto vi è di più alto, poiché essa gli apre il santuario, dove in eterna unione arde come in una sola fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, e ciò che nella vita e nell’azione e nel pensiero deve fuggire se stesso eternamente. La visione che il filosofo si fa artificialmente della natura è per l’arte la visione originaria è naturale”….

Questo il tema della 16a puntata del Bistrot Philo in onda giovedi 27 Ottobre alle 21 su Radioantares. Ogni contributo, di qualunque tipo, è ben accetto.

lunedì 10 ottobre 2011

La civiltà dell'empatia

LA CIVILTA’ DELL’EMPATIA

Cos’e’ l’empatia? Il termine empatia deriva dalla parola tedesca Einfuhlung e si riferiva un tempo alla modalità con cui l’osservatore proietta le proprie emozioni su un oggetto di adorazione o contemplazione, ed è un modo per spiegare come l’individuo giunga ad apprezzare e a godere della bellezza, per esempio, di un’opera d’arte. Ma in seguito è stato sempre più utilizzato per descrivere il processo mentale attraverso cui l’individuo si immedesima in un altro essere vivente, arrivando a conoscerne i sentimenti ed i pensieri. Nel secolo scorso si sviluppò un crescente interesse per il significato e gli effetti dell’empatia sulla coscienza e sullo sviluppo sociale. Questo interesse è esploso nell’ultimo decennio, quando l’empatia è diventata un argomento di grande importanza per molte discipline, dalla medicina alla gestione delle risorse umane.
 Grande è stato l’entusiasmo dei biologi alla notizia della scoperta dei “neuroni specchio”, i cosiddetti “neuroni dell’empatia”, che dimostrano la predisposizione genetica alla risposta empatica e quindi alla socialità in alcuni mammiferi. L’ empatia può estendersi e svilupparsi a partire dal senso di sé, dall’autocoscienza. Più è sviluppato e individualizzato il sé, più è grande la nostra percezione dell’unicità e caducità dell’esistenza, della nostra solitudine esistenziale e dell’infinità di sfide che dobbiamo affrontare per esistere e prosperare. Sono questi nostri sentimenti che ci permettono di provare empatia per sentimenti simili degli altri.
Cosa ci dice questo a proposito della natura umana? E’ possibile che l’uomo non sia intrinsecamente malvagio o egoista e materialista, ma che abbia una natura del tutto diversa, empatica appunto, e che le altre pulsioni che abbiamo considerato primarie (aggressività, violenza, comportamento egoista, atteggiamento di appropriazione) siano in realtà pulsioni secondarie derivate dal reprimere o negare il nostro istinto primordiale? Se così fosse le implicazioni nell’interpretazione del nostro schema sociale  sarebbero enormi e delineerebbero scenari estremamente affascinanti per il futuro. Ne è convinto Jeremy Rifkin (pensatore sociale e consigliere di vari capi di stato in tutto il mondo) ed intorno a questa riflessione si sviluppa il suo ultimo libro dal titolo “La civiltà dell’empatia”.
In effetti psicologi come William Fairbairn, Heinz Kohut, Donald W. Winnicott e Ian Suttie, demolendo la premessa freudiana che vuole il bambino nato per espropriare e distruggere spinto dalla libido, hanno suggerito che è la socialità la pulsione primaria e che libido, aggressione e distruzione costituiscono una risposta compensatoria alla frustrazione del più fondamentale dei bisogni umani. L’idea che il desiderio di un neonato non ancora formato per la propria madre fosse sessualizzato fin dall’inizio della vita e che la sessualizzazione si estendesse poi a tutte le relazioni che l’individuo avrebbe creato in seguito, anche nella vita adulta, pareva a costoro in contrasto con il buonsenso e l’esperienza emotiva della gran parte delle persone. Ian Suttie afferma che è il gioco la più importante attività sociale, quella attraverso cui creiamo comunione, generiamo fiducia reciproca,esercitiamo l’immaginazione e la creatività individuali, sviluppiamo l’empatia. Il gioco è l’ambito nel quale superiamo il senso di solitudine esistenziale e ritroviamo il sentimento di comunione che abbiamo scoperto con il nostro compagno di giochi primordiale: nostra madre. Solo se la madre rifiuta di concedersi al bambino, o ne respinge i gesti d’affetto o i doni, l’angoscia, l’odio, l’aggressività, che Freud confonde con una pulsione primaria, e la volontà di potenza cominciano a manifestarsi.
Se diamo per buona questa premessa, che Rifkin utilizza per rileggere e rivisitare l’intera vicenda umana, appare evidente che l’estensione empatica è l’unica disposizione umana che crea una vera eguaglianza fra le persone. Sono le gerarchie di status a creare le diseguaglianze attraverso la rivendicazione di autorità sugli altri. Una società molto stratificata è generalmente carente di coscienza empatica, perché è segmentata in tali e tanti gradi di status da limitare la capacità del singolo di empatizzare al di fuori del proprio gruppo di appartenenza, sia verso l’alto sia verso il basso della gerarchia. Al contrario nelle società complesse,  nelle quali la differenziazione ed il senso di sé sono ben sviluppati, dove la maggior parte degli individui vive la propria vita quotidiana al di sopra della soglia del benessere, ma i differenziali di reddito sono contenuti, la gente è generalmente più felice, più tollerante, meno invidiosa e più empatica verso gli altri: pensiamo a paesi come Svezia, Norvegia o Danimarca.
E allora in un mondo in cui sempre più persone vivono al di sopra della soglia del benessere ed in cui internet, le nuove tecnologie e le comunicazioni in genere, favoriscono la condivisione della conoscenza, delle esperienze e quant’altro, pare che il genere umano possa avviarsi rapidamente verso quello che Rifkin definisce “il picco dell’empatia globale”. Parrebbe, e probabilmente lo è, una condizione ottimale, se non fosse che siamo arrivati a questo punto attraverso  un irreversibile consumo di risorse ambientali e che questo rischi di produrre un cataclisma in grado di mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza. La risoluzione del paradosso empatia-entropia sarà molto probabilmente il banco di prova definitivo della capacità umana di sopravvivere e prosperare in futuro sulla Terra. Traduco: saremo in grado di approdare finalmente ad una società globale più giusta e solidale abbastanza rapidamente da evitare che il perpetuarsi di una condotta egoista e maldestra (forse male necessario per arrivare a questo punto) ci condanni al disastro?
Secondo Rifkin il raggiungimento dell’obiettivo passerà attraverso una sorta di terza rivoluzione industriale, un grande cambiamento che, come sempre nella storia, coniugherà un nuovo regime energetico con una rivoluzione della comunicazione, creando un ambiente sociale completamente nuovo. La terza rivoluzione industriale poggerà su quattro pilastri. Le forme rinnovabili di energia ( solare, eolica, idroelettrica, geotermica, oceanica e da biomassa ) rappresentano il primo dei quattro pilastri. Il secondo pilastro è rappresentato dal settore delle costruzioni, in futuro infatti ogni edificio sarà anche una sorta di “centrale elettrica”. L’effettiva implementazione dei primi due pilastri della terza rivoluzione industriale ( le energie rinnovabili ed il concetto di edifici come centrali elettriche ) necessiterà del simultaneo intervento di un terzo elemento. Per massimizzare infatti l’utilizzo delle energie rinnovabili e minimizzarne il costo sarà necessario sviluppare metodi di immagazzinamento dell’energia che ne rendano più affidabile e meno intermittente il flusso. Tutto potrebbe ruotare intorno all’idrogeno, da oltre trent’anni infatti le navicelle spaziali sono alimentate da innovative celle a combustibile a idrogeno. Ecco come funziona: le fonti di energia rinnovabili vengono utilizzate per produrre elettricità; l’elettricità a sua volta può essere utilizzata, attraverso un processo di elettrolisi, per scindere l’acqua in idrogeno ed ossigeno. Una società fondata sulle energie rinnovabili quindi sarà possibile nella misura in cui una parte dell’energia prodotta potrà essere stoccata sottoforma di idrogeno. Infine il quarto pilastro consiste nella riconfigurazione elettrica sulla falsariga della rete internet, così da permettere a famiglie ed imprese di produrre la propria energia  e di condividerla con altri. Sistemi che vanno in questa direzione sono in corso di sperimentazione presso società di distribuzione energetica in Europa, Stati Uniti, Giappone, Cina ed altri paesi. Le tecnologie di smart metering ( contatore intelligente ) permetteranno ai produttori locali di vendere più efficacemente la propria energia alla rete di distribuzione principale, oltre che di accedere alla rete per coprire il proprio fabbisogno in caso di necessità, rendendo bidirezionale il flusso dell’elettricità. La rete intelligente a generazione distribuita offrirà anche l’infrastruttura essenziale per realizzare la transizione dal motore a combustione interna alimentato da derivati del petrolio al veicolo elettrico alimentato a idrogeno e connettibile alla rete.
La democratizzazione dell’energia diventerà uno dei punti chiave della nuova visione sociale distribuita. L’accesso all’energia diventerà un diritto sociale inalienabile nell’era della terza rivoluzione industriale. Il Novecento ha visto l’estensione delle garanzie politiche e l’allargamento delle opportunità educative ed economiche a milioni di persone in tutto il mondo. Nel ventunesimo secolo anche l’accesso individuale all’energia diventerà un diritto sociale e umano: ogni essere umano deve avere il diritto e l’opportunità di produrre la propria energia localmente e di condividerla con altri in interreti locali, nazionali e continentali. Per una nuova generazione che sta crescendo in una società meno gerarchica e più interconnessa, la capacità di condividere e produrre la propria energia in una interrete a libero accesso sarà considerata un diritto ed una responsabilità primaria. Il passaggio dalle energie elitarie ( combustibili fossili ed uranio ) alle energie distribuite porterà il mondo fuori dalla geopolitica che ha caratterizzato il ventesimo secolo, per farlo entrare in una nuova politica della biosfera. L’avvento della terza rivoluzione industriale farà molto per allentare le crescenti tensioni sull’accesso ad un’offerta sempre più limitata di idrocarburi e materiale fissile, contribuendo a facilitare una politica della biosfera basata sul senso di responsabilità collettiva per la salvaguardia degli ecosistemi terrestri.
Guardando al futuro Rifkin guarda in particolare all’Europa. Il vecchio sogno americano ed il più recente sogno europeo riflettono infatti due concezioni molto diverse della natura umana. Il primo privilegia l’autonomia dell’individuo e le opportunità a sua disposizione e mette l’accento sull’interesse materiale del singolo come mezzo per garantire sia la libertà personale sia la felicità. Il secondo non disdegna l’iniziativa personale e le opportunità economiche, ma tende ad attribuire altrettanta importanza al miglioramento della qualità della vita nell’intera società. Tale sogno è il riconoscimento del fatto che non si prospera da soli, in un isolamento autonomo, bensì in profondo rapporto con gli altri in uno spazio sociale condiviso. La qualità della vita mette l’accento sul bene comune come importante strumento per garantire la felicità a ogni membro della comunità. Ultimamente la qualità della vita è diventata un importante fattore di ripensamento di numerosi assunti fondamentali della teoria economica del Novecento, a cominciare dalla ossessiva rilevazione del prodotto interno lordo.
Succede allora che se i giovani idealisti un tempo cercavano spazio all’interno dei partiti politici, oggi si rivolgono più probabilmente alle organizzazioni della società civile, nella convinzione che l’accumulazione di capitale sociale ( un altro modo per definire il senso di un’empatia collettiva condivisa ) preceda l’accumulazione del capitale politico. E’ facile vedere come una generazione più collaborativa, abituata al social networking, possa sentirsi maggiormente a proprio agio nelle organizzazioni della società civile, che sono per loro natura cooperative, proiettate verso la gente comune, dinamiche e , perciò, molto più attraenti dei partiti politici e delle istituzioni pubbliche, che tendono a concentrare il potere e a essere più competitive e strumentali nelle interazioni umane. Nella misura in cui le future generazioni acquisiranno maggiori competenze nel creare capitale sociale e nell’estendere l’empatia in ambiti più inclusivi, i partiti politici e la pubblica amministrazione saranno costretti ad adeguarsi e ad assimilare il nuovo modo di pensare collaborativo che già si sta manifestando nella società civile.
In definitiva adattare il modello di mercato ed il modello sociale a una terza rivoluzione industriale distribuita e collaborativa sarà la questione politica più pressante dei prossimi cinquant’anni, quando i governi faranno proprio il nuovo sogno di creare una società fondata sulla qualità della vita in un mondo biosferico. Nell’economia del capitalismo distribuito dove la collaborazione prende il posto della competizione, i diritti di accesso diventano tanto importanti quanto quelli di proprietà, la qualità della vita ha la stessa priorità del successo economico personale, l’empatia trova spazio per svilupparsi e progredire: non è più costretta e limitata dalle gerarchie, dai confini esclusivi e da un concetto di natura umana che colloca l’egoismo, l’interesse particolare e l’utilità al centro dell’esperienza di vita.

                                                                       Felice Marino
                                                                    aliama1@yahoo.it