Anche questo mese ho scelto di occuparmi di una pubblicazione del sociologo polacco Zygmunt Bauman. Il recente testo “Conversazioni sull’educazione” è una raccolta epistolare tra Bauman e Riccardo Mazzeo, un intellettuale suo amico, che spazia su vari temi e che mi è parso un logico completamento delle tesi esposte nel già commentato “Modernità liquida”.
A proposito di scuola e di educazione Bauman utilizza la metafora dei missili intelligenti contrapponendoli ai più datati missili balistici. I primi, a differenza dei secondi, apprendono durante il percorso e la principale capacità di cui hanno bisogno è quella di imparare e di farlo rapidamente. Un apprendimento veloce, tuttavia, nasconde un’altra capacità meno visibile e cioè quella di dimenticare altrettanto velocemente ciò che si era appreso un attimo prima. Quello che i cervelli dei missili intelligenti non devono mai dimenticare è che la conoscenza che essi acquisiscono è in sommo grado revocabile e ciò che garantisce il successo consiste nell’accorgersi del momento in cui la conoscenza immagazzinata ha cessato di essere utile e deve essere gettata via, dimenticata e sostituita. E’ con l’ingresso nei tempi liquido-moderni che coloro che erano alle prese con l’apprendimento e la promozione dell’apprendimento hanno dovuto spostare la loro attenzione dai missili balistici, vale a dire l’antica saggezza ed il suo valore pragmatico, ai missili intelligenti. Se la vita premoderna era una quotidiana rappresentazione dell’infinita durata di qualunque cosa, la vita liquido-moderna è una quotidiana rappresentazione della fugacità e della transitorietà. In un mondo del genere si è costretti a prendere la vita un pezzetto alla volta, aspettandosi che ogni pezzetto sia diverso dal precedente e richieda conoscenza ed abilità differenti. Ora, poiché l’invariabile obiettivo dell’educazione era, è e rimarrà in ogni epoca la preparazione dei giovani alla vita nelle realtà a cui sono destinati ad accedere, oggi una scuola di qualità, “pratica”, non può che essere una scuola che diffonde apertura mentale non chiusura, qualità non quantità.
Non è un caso allora che tutti i principali eroi contemporanei, uomini dalle storie radiose che raccontano il passaggio dalla miseria alla ricchezza come Steve Jobs, Jack Dorsey o David Karp, siano senza eccezione uomini falliti sotto il profilo dell’istruzione che hanno accumulato fortune miliardarie grazie ad una singola idea ben scelta e ad un’opportunità fortunata.
Sono le persone con idee brillanti ed utili (leggasi: vendibili) che oggigiorno abitano le stanze dei bottoni. Le principali risorse di cui è fatto il capitale sono nell’era post-industriale la conoscenza, l’inventiva, l’immaginazione, la capacità di pensare ed il coraggio di pensare in modo differente. Nell’elenco dell’uno per cento degli americani più ricchi (avete letto bene, uno per cento) solo uno di essi appartiene all’impresa industriale; il resto sono finanzieri, avvocati, architetti, programmatori, scienziati, medici, stilisti ed ogni sorta di celebrità dello spettacolo, della televisione e dello sport.
Tutto in linea con la società dei consumatori, contrassegnata da una cultura “nuovista” che promuove il culto della novità e della scelta casuale, ma caratterizzata anche da una massa di informazioni strabordante: “Invece di ordinare la conoscenza in file armoniose, la società dell’informazione offre cascate di segni decontestualizzati più o meno casualmente connessi gli uni agli altri. Detto diversamente: quando quantità crescente di informazione vengono distribuite a velocità crescente, diventa sempre più difficile creare narrazioni, ordini, sequenze di sviluppo. I frammenti minacciano di diventare egemoni. Ciò ha serie conseguenze per i modi in cui ci colleghiamo alla conoscenza, al lavoro ed allo stile di vita in senso lato”.
La verità è che questa è la prima generazione del dopoguerra che ha di fronte la prospettiva di una mobilità verso il basso. Non c’e’ nulla che abbia potuto prepararli all’arrivo del nuovo mondo duro, freddo e inospitale in cui i voti hanno perso il loro valore, i meriti guadagnati si sono svalutati. Essi si sono ritrovati a vivere in un mondo di lavori volatili e disoccupazione ostinata, di fugacità di prospettive e durevolezza di sconfitte, di speranze frustrate e di opportunità che brillano per la loro assenza. Per la prima volta, a memoria d’uomo, l’intera classe dei laureati si trova di fronte un’alta probabilità di svolgere lavori ad hoc, temporanei, part-time, pseudolavori non pagati di apprendistato ingannevolmente definiti di formazione, tutti considerevolmente al di sotto delle abilità da loro acquisite e delle loro aspettative.
Chiosa Bauman:” In una società capitalista come la nostra, preparata ed armata prima di tutto per la difesa e la preservazione dei privilegi esistenti e solo secondariamente (in modo infinitamente meno rispettato e praticato) al miglioramento delle condizioni di chi vive in uno stato di deprivazione, questa schiera di laureati con grandi obiettivi e piccoli mezzi non ha nessuno a cui rivolgersi per ottenere assistenza e rimedio”. Tutto ciò, unitamente al progressivo ed esponenziale aumento delle tasse universitarie, rischia inevitabilmente di decimare le schiere dei giovani che crescono nei miseri territori della deprivazione sociale e culturale e che ciò nondimeno non sono ancora domi e osano bussare con determinazione alle porte universitarie dell’opportunità. Le università rischiano sostanzialmente di abdicare al loro ruolo attribuito/preteso di promotrici della mobilità sociale. E’ un ritorno in grande stile delle divisioni di classe.
In questo contesto vale la pena allora citare il cupo avvertimento/premonizione di W. Cohan sul New York Times: “Una lezione che ci viene dalla recente sollevazione in Medio Oriente, specialmente in Egitto, è che un gruppo di persone con un’alta istruzione ma disoccupate, in sofferenza da un periodo cospicuo di tempo, possono catalizzare un cambiamento sociale di enorme portata”.
Buone feste a tutti
Felice Marino
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