venerdì 11 gennaio 2013

IL MANOSCRITTO

Può un libro cambiare la Storia? “Il Manoscritto” di Stephen Greenblatt, premio Pulitzer per la saggistica 2012, racconta il rinvenimento quasi fortuito  presso un monastero tedesco di un testo perduto, la cui riscoperta, secondo l’autore, potrebbe aver cambiato la storia della cultura europea. L’anno è il 1417, il monastero è quello di Fulda ed il testo il “De Rerum Natura” di Tito Lucrezio Caro.
Con una prosa leggera, che pare trasformare la Storia in un racconto avvincente, Greenblatt ci offre uno spaccato di un mondo lontano ed al contempo ci impone una riflessione sempre attuale. Spesso noi siamo portati a pensare alla realtà di oggi come alla conseguenza di una serie di  eventi più o meno noti, non prendiamo nemmeno in considerazione l’idea che in questa sequenza ci possano essere stati dei buchi, che ci siano dei tratti mancanti, magari semplicemente perché delle testimonianze si sono perse definitivamente.
Questo è particolarmente vero per quello che riguarda l’età classica. Nel passaggio dall’età classica a quella medioevale si sono infatti persi un numero rilevante di testi e con essi tanti autori e pensatori sono stati condannati  all’oblio per sempre. Quelli pervenuti, devono spesso la loro sopravvivenza all’opera di instancabili monaci amanuensi. Essi avevano nell’esercizio della lettura e della scrittura alcune delle loro regole, tuttavia, magari perché abbagliati da un gusto classico, non sempre erano capaci di cogliere l’essenza di quello che stavano trascrivendo. Non si spiega altrimenti la sopravvivenza presso un monastero, per quanto sperduto, di un’opera potenzialmente sovversiva come il “De Rerum Natura”.
A trovarlo, quasi per caso, fu l’umanista Poggio Bracciolini, cacciatore di libri e segretario apostolico di papa Baldassarre Cossa, deposto durante il concilio di Costanza del 1415, quello che di fatto pose fine allo scisma. Ordinando ad uno scrivano di farne una copia, Bracciolini si affrettò a salvare il libro dall’oblio in cui era caduto tra le mura del convento. Non sappiamo se avesse già intuito che, negli anni, il volume avrebbe contribuito a demolire il suo mondo.
In realtà il De Rerum Natura era oggetto di discussione anche nel mondo pagano, all’epoca della sua pubblicazione. Incredibilmente ne sono stati trovati e riconosciuti dei frammenti tra i numerosi rotoli rinvenuti nella villa dei Papiri di Ercolano, sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e che pare fosse di proprietà del potente politico romano Lucio Calpurnio Pisone.
Nella biblioteca del monastero di Fulda, tra messali, tomi teologici e manuali confessionali, il libro di Lucrezio era un intruso, una reliquia che aveva galleggiato fino a riva da un relitto lontano. A Ercolano, invece, era a casa propria. Il contenuto dei rotoli rinvenuti dimostra che la collezione della villa si concentrava proprio sulla scuola di pensiero di cui il De Rerum Natura è la più straordinaria espressione esistente: l’epicureismo.
La tesi filosofica, fondamentalmente “atomista”, secondo cui lo scopo supremo della vita è il piacere, sebbene definito in termini assai sobri, fu uno scandalo, sia per i pagani sia per i loro avversari, gli ebrei prima e i cristiani dopo. C’era infatti paura che la sublimazione del piacere e la fuga dal dolore fossero obiettivi allettanti e potessero fungere da principi organizzatori razionali della vita umana. Se così fosse stato, molti principi alternativi sanciti dalla tradizione come il sacrificio, l’ambizione, lo status sociale, la disciplina, la religiosità, sarebbero stati messi in discussione insieme alle istituzioni che servivano. Si provvide allora a banalizzare volontariamente la ricerca del piacere epicureo in un’indulgenza sensuale e grottesca verso se stessi, rappresentata dal perseguimento risoluto di sesso, potere, denaro o addirittura cibi bizzarri e costosi. In realtà il vero Epicuro, che viveva di formaggio, pane ed acqua, condusse un’esistenza più che tranquilla.
Dopo aver  ottenuto una copia, Bracciolini ricopiò a sua volta il testo e lo fece pervenire al suo grande amico umanista Niccolò Niccoli. L’opera iniziò così a circolare silenziosamente, prima a Firenze e poi altrove, contribuendo probabilmente ad accendere le polveri del Rinascimento italiano. Il materialismo lucreziano ispirò in seguito grandi autori europei come Shakespeare e Montaigne. Quest’ultimo approvava il disprezzo di Lucrezio per la moralità imposta, odiava intensamente le autopunizioni ascetiche e la violenza contro la carne, amava la libertà e l’appagamento interiore. Lucrezio, secondo Montaigne, era la guida più infallibile per comprendere la natura delle cose e per plasmare l’io affinchè vivesse la vita con piacere e affrontasse la morte con dignità.
Non mancarono numerosi tentativi di impedire la lettura nelle scuole del De Rerum Natura e di ricondurre Lucrezio al silenzio, ma il torchio da stampa aveva ormai reso molto più difficile uccidere i libri. Soffocare una serie di idee vitali per i nuovi progressi scientifici nel campo della fisica e dell’astronomia si rivelò ancora più arduo.
Le idee atomiste crearono le premesse per le grandi rivoluzioni culturali europee ma finirono anche nel testo della dichiarazione d’indipendenza americana. Il testo, influenzato da Thomas Jefferson, sottolineava la necessità di un governo che non garantisse solo la vita e la libertà dei cittadini, ma che promuovesse anche la ricerca della felicità. Ed in effetti pare che ad un corrispondente che gli chiese quale fosse la sua filosofia di vita Jefferson, che aveva collezionato almeno cinque versioni latine del De Rerum Natura, rispose: “Sono epicureo”.


                                                                         Felice Marino
                                                                      aliama1@yahoo.it