Dopo aver parlato di stagno e piombo, continuiamo a viaggiare nella chimica degli elementi attraverso le “Favole Periodiche” di Hugh Aldersey-Williams.
Restando nella sezione relativa ad Arti e Mestieri non si può non parlare dell’argento. L’argento, più di ogni altro metallo, è legato alla purezza ed in particolare alla verginità e ciò non è dovuto solo alla sua bianca lucentezza, ma al fatto che questa lucentezza ha una propensione quasi umana ad offuscarsi ed annerirsi. Se l’Oro rappresenta il sole e la perfezione e viene associato all’immortalità, l’argento, per contro, simboleggia la luna e l’incompletezza per il fatto che non è ancora oro. Tant’è vero che i primi alchimisti ritenevano che per completare la transizione da argento ad oro ci volesse solo un po’ di giallo in più, che provarono a trasferire nei modi più bizzarri, dallo zafferano, dai tuorli d’uovo o addirittura dall’urina.
Oggi è noto che l’argento non si ossida facilmente e che la sua tendenza ad annerirsi, che richiede di contro una continua lucidatura, è dovuta alla formazione di una patina superficiale di solfuro. Questa si forma in particolare quando un oggetto d’argento ben lucidato viene esposto in ambienti in cui l’aria è ricca di zolfo e cioè in presenza di candele o di fuochi. La facilità del processo di trasformazione chimica tramite cui il metallo si ritrova coperto da una pellicola nerastra, e lo sforzo fisico richiesto dal rituale di lucidatura per farlo tornare a brillare, parlano di morte e resurrezione, di corruzione e redenzione. C’è una macchia nell’argento, una sorta di peccato originale.
Un’altra caratteristica dell’argento è la capacità della sua superficie tirata a lucido di riflettere la luce così bene da consentire ad una persona di specchiarvisi. Nel tardo Medioevo durante i riti liturgici l’assemblea dei fedeli iniziò a prender parte alla Comunione, prima riservata al solo sacerdote. E allora, al culmine della messa, i fedeli potevano vedere il loro volto riflesso nel virtuoso argento degli oggetti sacri, un’occasione non frequente in un’epoca in cui gli specchi non erano ancora diffusi. Questa antica qualità, unita a quella di annerirsi, ha prodotto metaforicamente qualcosa di inaspettato nel mondo contemporaneo: come il riflesso di uno specchio, infatti, anche la fotografia è un’immagine ottica catturata nell’argento. La creazione delle immagini fotografiche in bianco e nero dipende infatti dalla trasformazione chimica dei sali d’argento in argento metallico grazie all’azione della luce. E questa volta, ironia della sorte, è l’argento puro ad apparire nero.
In generale comunque l’argento ha goduto di una particolare importanza agli inizi del XX secolo, durante gli anni della Belle Epoque, quando anche le famiglie di poche pretese potevano permettersi l’argenteria, grazie all’espansione dell’attività mineraria nelle Americhe. L’Argentina, l’unico stato al mondo ad aver preso il nome da un elemento chimico, è stato per un breve periodo il decimo paese più ricco al mondo. Oggi l’argento non ha più il prestigio sociale di cui godeva una volta ed il suo prezzo è crollato, tuttavia il suo valore simbolico, per quanto ciò possa apparire sorprendente, è rimasto intatto.
Tra i metalli che hanno influenzato ed influenzano la nostra vita va sicuramente annoverato anche il rame ed il suo straordinario numero di proprietà.
La più evidente è costituita dal suo colore: il rame infatti è l’unico metallo rosso, cosa che lo pone in relazione con l’oro, unico altro metallo colorato. La prima delle sue proprietà utile per essere sfruttata fu la malleabilità. Gli antichi egiziani lo utilizzavano per fabbricare spade ed elmi, ma anche tubi di scolo. Essendo abbondante, oltre che malleabile, il rame si prestava meglio dell’oro e dell’argento ad essere impiegato per la produzione di monete, pur suscitando a volte il malcontento delle popolazioni tra cui venivano fatte circolare, data l’evidente disparità tra il loro valore nominale e quello reale.
La seconda proprietà ad essere riconosciuta e sfruttata fu la facilità con cui il rame conduce sia il calore sia l’elettricità. All’inizio del XIX secolo Paul Revere conquistò la fama grazie alle sue pentole dal fondo in rame. In quello stesso periodo gli scienziati che studiavano l’elettricità scoprirono che questo metallo la conduceva meglio di qualunque altro materiale, eccettuato l’argento.
Ma il contributo più grande del rame alla trasformazione del mondo è dovuto a una sua ultima proprietà: la duttilità. Esso infatti non solo può essere ridotto in fogli sottili, ma anche in fili in grado di condurre l’elettricità, cosa che ha permesso la creazione di quella che possiamo definire la prima rete mondiale. Il cablaggio del mondo è stato possibile grazie a una serie di innovazioni chiave avvenute in un lasso di tempo relativamente breve: la creazione di batterie in grado di generare una corrente costante, l’introduzione di galvanometri capaci di cogliere un segnale elettrico e mostrarlo attraverso lo spostamento di una lancetta, la messa a punto di procedure di raffinazione tali da garantire al rame quell’elevato grado di purezza necessario per condurre l’elettricità con efficienza, nonchè la scoperta delle proprietà isolanti della guttaperca, una resina gommosa ottenuta dalle sapotiglie malesi.
Oggi il mondo è avvolto in un bozzolo di fili di rame e, nonostante l’avvento delle fibre ottiche, dei satelliti e del wi-fi, più della metà del metallo estratto dalle miniere viene ancora trasformato in cavi o comunque impiegato in applicazioni legate all’elettricità o alle comunicazioni. Pur rimanendo perlopiù nascosto alla vista, il rame è di fatto diventato un simbolo di civiltà.
Felice Marino
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