venerdì 21 giugno 2013

FAVOLE PERIODICHE. PARTE IV

Alcuni elementi chimici sono da sempre sinonimo di potere, altri lo sono diventati. L’oro, per esempio, è da sempre associato ad un fascino senza tempo, ma cosa c’è di veramente speciale in questo metallo? Sicuramente l’unicità della combinazione del colore giallo con la lucentezza del metallo pare attrarci in maniera inesorabile. Allo stesso tempo questo colore e questa lucentezza sono qualcosa di duraturo; l’oro resiste infatti alla corrosione dell’aria, dell’acqua e di quasi tutti i reagenti chimici.
Plinio il Vecchio pensava che fosse questa sua speciale resistenza, e non il suo specifico colore, a spiegare il nostro amore per l’oro. Egli osservava come fosse l’unico metallo a non perdere niente a contatto con il fuoco ed è proprio questa durevolezza a far sì che l’oro sia stato sempre associato all’immortalità, nonché alla regalità ed al divino. L’oro è speciale anche a causa della sua densità, della sua malleabilità e duttilità, inoltre è l’unico metallo rinvenibile in natura allo stato elementare. Esso fu ben presto considerato di gran valore ed utilizzato prima in gioielleria e poi per la fabbricazione di monete in Europa, Asia ed Africa.
All’oro ed alla sua ricerca è legato il mito dei conquistadores spagnoli nel Nuovo Mondo, attraverso di loro la Spagna si appropriò di circa 200 tonnellate del metallo tra il 1520 ed il 1660 . A ben vedere questo meccanismo si fonda sul presupposto che ognuna delle parti in causa sia d’accordo nel considerare l’oro la sostanza  di maggior valore nota all’uomo. Il problema è che si tratta di una premessa infondata, non è un caso che ad esempio gli aztechi, gli inca e le altre popolazioni indigene del nuovo mondo facevano offerte auree ai loro dei, ma non usavano il metallo come moneta, il che gli attribuiva di fatto uno scarso valore commerciale.
Gli abitanti taìnos di Hispaniola, Cuba e Puerto Rico, attribuivano molta più importanza al guanìn, una lega di rame, argento ed oro, da cui erano attratti per il suo colore rossiccio tendente al viola e soprattutto per il suo odore peculiare. Al suo confronto l’oro puro, inodore e di colore giallo-bianco era privo di fascino.
L’ottone, una lega del vecchio mondo ignota alle società precolombiane, aveva le stesse qualità che rendevano attraente il guanìn. Portato in America dagli spagnoli, venne a sua volta visto come una sostanza proveniente dall’empireo e gli fu dato un nome che lo associava allo splendore di un cielo luminoso. L’immagine delle imbarcazioni spagnole che trasportano i due metalli gialli da una sponda all’altra dell’atlantico, al solo scopo di alimentare il gusto per il lusso di due società così incapaci di comprendersi a vicenda, non può che suscitare un’amara ironia.
Nonostante ciò, nei primi decenni del XX secolo, un nuovo metallo si è affermato come indice di preziosità: il platino. Esso è diventato il metallo prezioso preferito da coloro che ritengono l’argento troppo comune e l’oro troppo pacchiano per essere abbinato agli abiti da sera. Il platino è più pesante dell’argento e più trendy dell’oro, non abbaglia ma ha una lucentezza perlacea. Eppure il platino, anch’esso scarso nella crosta terrestre, è presente nel suolo circa dieci volte più dell’oro. Tuttavia nell’immaginario collettivo il platino è diventato il simbolo di un nuovo tipo di ricchezza che, a differenza di quella basata sull’oro, non è stata accumulata nel corso delle generazioni, ma viene acquisita da un momento all’altro grazie ad ardite speculazioni.
Il platino, riconosciuto come elemento dai chimici europei solo nel XVIII secolo, era già stato scoperto dalle popolazioni indigene sudamericane 2000 anni fa. Determinati a mettere le mani sull’oro, i conquistadores spagnoli non avevano inizialmente prestato attenzione alla grigia platina; alcune miniere di oro erano state addirittura abbandonate perché la presenza concomitante della platina rendeva antieconomico il loro sfruttamento. Inoltre gli spagnoli non erano in grado di emulare i fabbri del nuovo mondo e trasformare il metallo in una forma malleabile e utilizzabile per la produzione di oggetti.
La scoperta nel XIX secolo di nuovi giacimenti in Russia e Canada fece precipitare il prezzo del platino. Come mai allora, dopo aver raggiunto questo punto così basso, il platino ascese a tal punto da superare il prezzo dell’oro?
Le leggi del mercato ci dicono che se la risposta non si trova nella carenza di offerta, deve trovarsi nell’eccesso di domanda. A tal proposito l’espansione delle applicazioni tecniche, negli strumenti elettrici ed in molti processi chimici industriali dove il metallo serve come catalizzatore, è stata senza dubbio un fattore importante, ma più intreressante è quell’aumento nel valore percepito del platino che non è stato dovuto all’economia di mercato ma soltanto a ragioni di status sociale.
Nel 1898 Louis Cartier, succeduto a suo padre al vertice della loro gioielleria parigina, prima rese celebre il nome di famiglia diffondendo l’uso dell’orologio da polso al posto di quello da taschino e poi prese la decisione di utilizzare il platino ovunque fosse possibile al posto dell’argento e persino dell’oro. I gioielli bianchi come i diamanti, che venivano preferiti in abbinamento con gli abiti da sera, richiedevano idealmente una montatura incolore: l’oro stonava mentre l’argento tendeva ad ossidarsi. La lucentezza del platino al contrario, un po’ grigia rispetto a quella dell’oro o dell’argento, garantiva che l’attenzione si focalizzasse solo sulle gemme. L’innovazione introdotta da Cartier lanciò la moda del platino nell’alta gioielleria.
Da allora le cose sono rimaste così. Persino le case discografiche assegnano il disco d’oro a coloro che vendono 500.000 copie e quello di platino per un milione. In maniera analoga una carta di credito “oro” è al secondo posto rispetto ad una “platino”. La cosa divertente sta nel fatto che nessuna di queste due cose ha più a che fare con l’aspetto esteriore del platino in quanto metallo, né tantomeno con la sua rarità. Per la maggioranza di noi lo status del platino è il prodotto di una forma di snobismo più complessa: se lo percepiamo più desiderabile dell’oro, ciò dipende interamente da un’associazione inversa, ossia dal fatto che sappiamo che i dischi di platino si conquistano dopo quelli di oro e che è più difficile ottenere una carta platino che una oro. In un’epoca in cui tutto è marcato “oro” bisognava trovare qualcosa che godesse di maggior prestigio: quel qualcosa lo chiamiamo “platino”, almeno per il momento.
                                                                           Felice Marino
                                                                        aliama1@yahoo.it