domenica 5 giugno 2011

Bistrot Philo 14a puntata. "La morte di Dio"

Ciao a tutti, riprende il Bistrot Philo. Ecco lo spunto della 14a puntata che andrà in onda giovedi 9 Giugno alle ore 2200 su Radioantares. Come sempre sono graditi i vostri contributi.

LA MORTE DI DIO
Dove se ne è andato Dio? - gridò l’uomo folle rivolto a molti di quelli che non credevano in Dio. – Ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso, voi e io. Ma come abbiamo fatto?” Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

Lo spunto di U. Galimberti
Intorno a Dio c’e’ poco da dire. Fede e mancanza di fede sono adesioni dell’anima che vengono prima di tutti i ragionamenti e resistono a tutti i ragionamenti. Qualcosa possiamo dire invece intorno alla morte di Dio annunciata da Nietsche, secondo il quale Dio è morto perché oggi gli uomini vivono e si comportano prescindendo dalla sua esistenza, costruendo un mondo che si lascia comprendere anche senza ricorrere all’idea di Dio.
Non è stato sempre così. Nel Medioevo, per esempio, dove la letteratura parlava d’Inferno, Purgatorio e Paradiso, dove l’arte era arte sacra, dove persino la donna era donna-angelo, nulla di quella cultura poteva essere compreso se si prescindeva dall’idea di Dio. Quindi Dio esisteva e faceva mondo. Oggi il nostro mondo può benissimo essere compreso senza ricorrere all’idea di Dio, mentre difficilmente sarebbe leggibile senza l’idea di “mercato” o l’idea di “tecnica”. Oggi quindi Dio è morto. Intorno al suo nome non accade un mondo, perché il mondo che viviamo non ha bisogno dell’idea di Dio per essere compreso. Altri sono i suoi referenti.
Per questo dico che al di là dell’apparente risveglio religioso, fatto più di effetti mediatici e di speculazioni politiche, le religioni si stanno avviando inesorabilmente verso la loro estinzione, non per l’inarrestabile processo di secolarizzazione che caratterizza la nostra cultura, e neppure perché con le conquiste della scienza e della tecnica l’uomo può ottenere da sé quel che un tempo implorava da Dio, ma perché l’età della tecnica ha modificato la nostra psiche, abituandola a un tempo contratto che è l’intervallo che intercorre tra i mezzi e i fini.
Un mezzo è un mezzo se adeguato al fine che vuol raggiungere, perché se è inadeguato, non è più un mezzo. Allo stesso modo un fine è un fine, e non un sogno, se i mezzi per conseguirlo sono disponibili oggi e non chissà quando. Questo tempo contratto tra il recente passato e l’immediato futuro, che è il tempo proprio dell’età della tecnica, sopprime, dentro di noi, il tempo escatologico che prevede che, alla fine (del mondo), si realizzi quello che all’inizio era stato annunciato. E siccome la religione si fonda sul tempo escatologico, se questo non ha più riscontro e risonanza nella nostra psiche, la religione muore, perché non più sostenuta da quella dimensione temporale (l’escatologia) di cui si alimenta. Resta il problema del “senso della vita” a cui le religioni offrivano risposte. Perciò l’umanità vaga senza orizzonte, ma senza neppure più la disponibilità di affidarsi a quelle che già Eschilo chiamava “cieche speranze”.

8 commenti:

  1. Non mi trovo d'accordo con Galimberti perchè il bisogno di Dio
    nasce da una limitatezza della natura umana a cui corrisponde una
    ricerca di eterno. Penso che sia prevalente il bisogno di
    superare il tempo, che la natura ci ha consegnato, nella invenzione
    di Dio. E' l'angoscia del nulla che ci spinge nelle sue braccia.
    E poi c'è la psicanalisi che ci ha disvelato il nostro bisogno
    di un Padre.

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  2. E’ nella conclusione che, a mio avviso, c’è il granello che inceppa tutto il ragionamento precedente.
    “Resta il problema del “senso della vita” a cui le religioni offrivano risposte. Perciò l’umanità vaga senza orizzonte…”. Proprio questa mancanza di una meta e di una bussola producono nei singoli un forte disagio e un disorientamento ansiogeno, di cui si avvertono i sintomi ma, spesso, non si è consapevoli della causa.
    Forse le religioni, come sono oggi, vedranno la fine, ma, secondo me, il bisogno di trovare risposte alle “domande ultime” spingerà l’uomo, o gli uomini più distaccati dalle logiche del mercato e più disincantati rispetto alla tecnologia, a costruire una nuova spiritualità. Già oggi molti uomini di fede come Enzo Bianchi, priore di Bose, indicano strade nuove e invitano ad una ricerca comune, al di là della propria religione o del proprio ateismo o del proprio agnosticismo.
    Galimberti accenna nell’introduzione all’anima dell’uomo. Ma cosa sia quest’anima, un ente trascendente?, non lo specifica.
    Questa dimensione “oscura” dell’uomo che nessuno riesce a definire con esattezza, ma che fa sentire la sua presenza, se solo ci si sofferma un attimo a riflettere e ad ascoltarsi, credo che sia la vera forza dell’umanità. Quella forza che rende le persone capaci di creare il bello, di amare se stesse e i propri simili, di apprezzare le meraviglie e la perfezione della natura, di accettare con dignità le sofferenze fisiche e psichiche, connesse alla natura umana, di tollerare saggiamente i propri limiti.
    Un filosofo del Novecento sosteneva: “Di ciò che non si sa è meglio tacere”. Forse sarebbe saggio, prima ancora di parlarne, cercare di fare esperienza di quel soffio di Dio che c’è in noi.
    In natura la morte è indispensabile per riprodurre la vita che evolve adattandosi ai cambiamenti. Forse la morte di Dio, come è stato fino ad ora pensato, è indispensabile per far nascere un’altra idea di Dio che aiuti l’uomo a emergere dal buio in cui è stato precipitato dal mercato e dalla tecnica, i due motori che muovono a ritmi esasperati la società occidentale.

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  3. No Dio non è morto, ma chi può avere la presunzione di fare un affermazione del genere......
    Troppo facile vivere in una realtà dove il nostro unico scopo diventa quello di soddisfare i nostri piaceri,
    le nostre piccole ambizioni , di raggiungere le mete che ci siamo prefissati e per questo di esserne immensamente
    compiaciuti.
    Penso che l uomo in quanto tale abbia bisogno di sviluppare un idea di Dio di conseguenza necessita dell apporto dato dalle religioni e ciò discrimina dalle altre creature dell universo.
    Mi spaventa un mondo senza Dio ,dove la nostra esistenza è fine a se stessa, se fosse veramente così
    sarebbe difficile dare un senso a ciò che facciamo e a ciò che costruiamo incluso la famiglia.
    Credere in Dio naturalmente è qualcosa di strettamente soggettivo e interiore, ora gli intellettuali
    che vogliono cancellare questa speranza dovrebbero tenere conto di questo aspetto rispettando questa idea di libertà.

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  4. Alessandra Corbetta9 giugno 2011 alle ore 14:18

    Dico solo, come per il contadino analfabeta che si reca tutti i giorni in Chiesa, si mette sull'ultima panca, non dice nè pensa nulla ma sente che Dio è vivo, che anch'io ho questa immensa, immeritata fortuna!

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  5. A me non pare che Dio sia morto, per niente. E mi riferisco proprio all'idea che la realtà del nostro vivere quotidiano sia interpretabile senza di esso. La realtà di ogni giorno è pervasa di spiritualità, una spiritualità che richiama inevitabilmente a Dio. Persino un oggetto iper-materiale come un ipod ed il suo impiego dimostrano la nostra quotidiana necessità di infilarci in un guscio, di isolarci, di vivere intimamente la nostra spiritualità.
    Quello in cui sono venute meno semmai alcune religioni è l'annuncio. Mi vengono in mente a tal proposito le parole di papa Benedetto XVI ad Auschwitz dove sostanzialmente egli si chiedeva dove fosse finito Dio di fronte a tanto orrore. Era forse più corretto chiedersi perchè gli uomini avessero smesso di ascoltarlo in maniera così clamorosa...l'annuncio per l'appunto, era mancato l'annuncio...e continua a mancare...

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  6. Manuel Busto Garolfo9 giugno 2011 alle ore 14:32

    Si, Dio è morto. E' morto perchè nel momento in cui si è passati dall'idea di un Dio cattivo, causa di terribili punizioni, all'idea di un Dio buono questo non ha trovato più riscontri in una realtà fatta di lotta per la sopravvivenza, di cose spesso terribili. Un Dio buono non spiega niente! Poi la scienza e la tecnica hanno dato il colpo di grazia spiegando la realtà in quasi ogni aspetto, rendendo inutile anche l'idea di un Dio cattivo.
    Quella spiritualità e quella ricerca di senso, vana, trovano giustificazione nella paura di morire, rappresentano una forma di autodifesa della nostra specie, anch'essa essenziale alla nostra sopravvivenza.

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  7. Invece di chiederci se Dio c'è o non c'è non ci basta pensare che quotidianamente qualcosa vive silente accanto a noi? E che se ne sentiamo il bisogno sappiamo dove trovarlo?

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  8. Forse il grande equivoco sta nel pensare a Dio come un'entità in grado di intervenire nelle vicende umane, personali e collettive, di conseguenza di indirizzarle a suo piacimento, un pò come le divinità pagane. Io credo che il nostro mondo, gli stessi rapporti tra individui, rispondano a leggi scientifiche in parte note, in parte ancora da scoprire. L'uomo sta manipolando sempre più la natura a suo piacimento, debellando malattie, carestie, allontanando sempre più la morte, diventando egli stesso un dio. Ma restano dei coni d'ombra...una spiritualità che pervade inconfutabilmente la nostra esistenza e l'incapacità-necessità di dare un senso alla nostra vita. Entrambe ci rimandano a qualcosa di metafisico che mi fa ritenere troppo frettolosa l'archiviazione dell'idea di dio. Sicuramente va inteso in maniera nuova, ma la realtà di ogni giorno è fatta di scienza...di nient'altro...

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