Nel 1920, in Germania, uno psichiatra tedesco di nome Alfred Hoche ed un suo connazionale giurista di nome Karl Binding pubblicarono un libretto dal titolo “Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute”. Il libretto diventò un caso letterario, non passò inosservato. Fu qui che venne definito per la prima volta il concetto di Ausmerzen ossia soppressione dei deboli, dei parassiti del popolo, dei nemici dello stato, dei mangiatori inutili, delle vite senza valore, delle esistenze-zavorra.
Ausmerzen è il titolo di un bellissimo saggio di Marco Paolini che racconta una storia sconosciuta ai più, quasi mai menzionata nei libri di storia, oggetto di un secondo processo di Norimberga svoltosi nell’autunno del 1946, molto meno famoso del primo e che riguardò prevalentemente personale medico e paramedico. E’ la storia di uno sterminio di massa noto come Aktion T4 dove T4 sta per TiergartenstraBe numero 4, un indirizzo di Berlino. Durante Aktion T4 furono uccisi e passati per il camino circa trecentomila esseri umani, di nazionalità tedesca, classificati come vite indegne di essere vissute. Cominciarono a morire prima dei campi di concentramento, prima degli zingari, prima degli ebrei, prima degli omosessuali e degli antinazisti e continuarono a morire anche dopo la liberazione.
Complessivamente tra il 1934 ed il 1939 in Germania furono sterilizzate circa quattrocentomila persone. Non accadde solo in Germania, ma qui la propaganda si preoccupò di farlo sapere. A partire dal 1939 il programma della politica demografica e razziale fu quindi pronto per un salto di qualità che nessuno degli altri paesi “progrediti” e convertiti all’Eugenetica aveva mai osato pensare: eliminare chi rallenta la marcia, sopprimere vite indegne di essere vissute, applicare l’eutanasia di stato. Si continuerà fino al 1941 in maniera ufficiale, poi sotto traccia fino al 1945, persino alcuni mesi oltre la liberazione. Posti come Grafeneck, Brandeburg, Hartheim, Sonnenstein, Bernburg o Hadamar ai più non dicono niente, non hanno la stessa sinistra fama di Auschwitz, Mauthausen, Dachau, Treblinka o Buchenwald. Eppure a Grafeneck furono trattate 9839 vite, 9772 a Brandeburg, 18269 ad Hartheim, 13720 a Sonnenstein, 8601 a Bernburg, 10072 ad Hadamar. Vite trattate male. Nessuna morte pietosa, molta paura, molto inganno.
Facciamo però un passo indietro. Il padre dell’Eugenetica fu Francis Galton, cugino di Charles Darwin. Galton raffrontò i tipi naturali, provò a misurare le capacità mentali ereditarie, a classificare gli umani per categorie. E’ evidente in tutto questo l’enorme influenza degli studi del cugino sull’evoluzione nel regno animale. Il passaggio successivo fu l’idea, l’Eugenetica appunto, a cui si ispirarono in tanti, di selezionare progressivamente la razza, impedendo ad esempio che criminali ed inferiori si riproducessero. L’Eugenetica ha perso credibilità per gli stermini commessi dai nazisti, ma per decenni e nello stesso periodo, con meno clamore, le democrazie del tempo autorizzarono e permisero che decine di migliaia di persone in nome di quella logica venissero sterilizzate, ostracizzate, discriminate. Fu nei manicomi che si concentrarono la maggior parte delle sterilizzazioni, così come l’impiego della barbara lobotomia e dell’elettroschock.
I manicomi nacquero in Francia durante la Belle Epoque e si diffusero rapidamente in Germania, Inghilterra, nel nuovo mondo ed anche da noi. Vi finirono dentro quelli capaci di atti inspiegabili, quelli pericolosi, ma poi anche i deboli di mente che non avevano un posto dove stare. In Italia bastava un qualsiasi male incurabile, come la pellagra, per entrarci, ovunque bastava essere alcolisti, vagabondi, avere un carattere senza i soldi per mantenerlo. Spesso dagli orfanotrofi si finiva direttamente nei manicomi.
Le conoscenze dei meccanismi ereditari peraltro erano piuttosto scarse. Nonostante il lavoro di Mendel fosse contemporaneo a quello di Galton, quest’ultimo fu a lungo ignorato. Mendel aveva dimostrato infatti che la combinazione dei geni è casuale e la trasmissione dei caratteri non lineare, aveva dimostrato altresì la decrescita dei caratteri recessivi con l’aumento degli incroci. Il nazismo non inventò l’Eugenetica, ne raccolse l’idea e ne fece un imperativo politico, all’inizio furono in tanti a guardare da altri paesi con interesse a quanto accadeva in Germania.
L’inizio della guerra fu forse uno dei motivi dell’escalation delle pratiche eugenetiche in Germania. Si iniziò con i bambini, poi si passò agli adulti. Furono individuati i luoghi, quasi tutti isolati ma non lontani da strade e ferrovie. Si trattò prevalentemente di strutture donate alla chiesa o ad istituzioni benefiche per farne ospizi e ricoveri per malati di mente. In ognuno di questi entrarono in funzione una camera a gas ed un forno crematorio. Si trattò di veri e propri centri di uccisione. Furono organizzati come veri e propri macelli, soltanto la necessità di intrattenere rapporti con le famiglie, di giustificare i decessi, li distingueva da una macelleria.
Se reclutare coloro che già si trovavano in ospedali psichiatrici era piuttosto facile, più difficile era farsi affidare dei bambini dalle famiglie. Qui svolsero un ruolo cruciale i medici di famiglia. Essi furono purtroppo un cavallo di Troia formidabile per lo sterminio dei bambini della nazione. Il medico di famiglia doveva segnalare la possibilità di un ricovero in un centro specializzato, difficilmente al contrario una famiglia avrebbe affidato un figlio disabile ad un uomo in divisa. I genitori dovevano essere informati dei rischi, ma i rischi dovevano essere minimizzati. Alla fine dovevano firmare per il consenso. Per chi resisteva c’erano pressioni fino alla minaccia di togliere la patria potestà alla famiglia con conseguenza su tutti i figli della coppia. All’inizio i bambini venivano ricoverati in un reparto d’ospedale pediatrico dove i genitori potevano ancora visitarli, poi improvvisamente scattava il trasferimento in uno dei ventuno “reparti per l’assistenza esperta dei bambini con malattie ereditarie” e da quel momento diventava difficile avere notizie, impossibile avere un indirizzo per una visita. Cinquemila furono i bambini più o meno censiti in Aktion T4 come sterminati. Nessuno fu ucciso senza il consenso dei genitori.
Una volta eliminati i Nutzlose Esser, mangiatori inutili, entravano in azione le segretarie di conforto che comunicavano alle famiglie il decesso improvviso dei loro familiari per cause naturali. Le lettere, migliaia di lettere, non dovevano assomigliarsi per non destare sospetti. Poiché a termini di regolamento non si potevano reclamare gli effetti personali oltre i quattordici giorni dalla data del decesso, le lettere venivano mandate apposta in ritardo così che nessuno riusciva a reclamare nulla. Ma cosa c’era da reclamare? In realtà la cosa più preziosa queste persone non la portavano nei vestiti né nei denti d’oro; la cosa più preziosa erano i loro cervelli o altre parti del loro corpo donate alla scienza. Molto di ciò che sappiamo sul caldo e sul freddo dipende dagli esperimenti fatti nei campi di concentramento, con cavie fatte morire per saperne di più sui limiti di resistenza in condizioni estreme.
Aktion T4 terminò nell’autunno del 1941, almeno nella sua versione ufficiale. Sui giornali c’erano pagine e pagine di necrologi simili, troppo simili tra di loro. Ad Hadamar c’erano troppo fumo e cenere, le voci cominciavano a correre. Tre preti di campagna alzarono la voce nelle loro parrocchie contro questo orrore. Furono uccisi.
In realtà il progetto continuò in ordine sparso, senza una regia centrale ed in modi diversi. La mortalità negli ospedali psichiatrici esplose, ne morirono tre volte di più che nei centri di uccisione. Si praticò in maniera scientifica la morte per fame, se questa non funzionava si ricorreva ad un’overdose di barbiturici e di psicofarmaci. Tutto ciò fino a Luglio del 1945, qualche mese oltre la fine della guerra in Europa.
La storia di T4 non ha testimoni perché sovente i protagonisti non sapevano parlare, qualche cattivo ragazzo però sapeva scrivere:
“Cara mamma! Se ne sono andati e mi hanno lasciato rinchiuso. Cara mamma, io non resisto otto giorni qui con questa gente: io me ne vado, qui non ci resto. Vieni a prendermi. Anche la mia valigia è rotta, è caduta. Cara mamma, fa qualcosa affinchè la mia richiesta sia esaudita”.
Felice Marino
aliama1@yahoo.it
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