venerdì 18 novembre 2011

Bistrot Philo 17a puntata. "Lezioni di addio"


“La caratteristica di una vita morta è di essere una vita di cui l’altro diventa il guardiano” J.P. Sartre

I morti con cui abbiamo avuto una relazione, non importa se di amore o di odio, non muoiono mai. La loro morte, infatti, per quanto ritualizzata e lenita dalle parole che la retorica mette a disposizione, o da quegli indecenti applausi che accompagnano le bare, perché non siamo più capaci né di raccolto silenzio né di giuste parole, chiede innanzitutto il riconoscimento della loro esistenza e della nostra relazione.
Perché in una relazione, non importa se di amore o di odio, quando uno se ne va prima dell’altro, l’altro resterà per dire il suo nome, se non altro per non farlo semplicemente ri-morire. Altri infatti ci seppellisce, altri ci ricorda, altri ci dimentica. La nostra morte è un evento degli altri, perché chi muore non sente e non risponde più.
Qui la fedeltà consiste nell’arrendersi all’evidenza, nel prendere sul serio il non ascolto e la non risposta di chi se ne è andato.
Un invito a vivere fino in fondo le relazioni da vivi, perché, dopo la morte di uno dei due, la relazione si custodisce nell’interiorità di chi sopravvive, ma l’altro non risponde. E questa non risposta sigilla la nostra inoltrepassabile solitudine, che forse è la realtà ultima della nostra esistenza, che si rivela solo quando il nostro amico o nemico se ne va. Ma quando uno se ne va prima dell’altro, l’altro resterà per dire il suo nome, non per rievocarne la memoria, ma per custodirlo nell’interiorità.

                                                                   U. Galimberti

Questo "lo spunto" della 17a puntata del Bistrot Philo di giovedi 24 Novembre alle ore 2130, dedicata alla memoria di Micaela Iachetta scomparsa tragicamente una settimana fa all'età di 23 anni.
Potete partecipare lasciando un vostro pensiero su questo post o all'indirizzo di posta elettronica aliama1@yahoo.it

martedì 15 novembre 2011

Un ricordo di Miky

E’ difficile trovare le parole di fronte alla tragica morte di una ragazza di 23 anni, lo è ancora di più se con quella ragazza hai condiviso un’esperienza di vita rallegrandoti intimamente della spontaneità e della trasparenza tipica di quella età.
Durante la mia segreteria avevo da subito individuato in lei la persona più vicina al mio modo di pensare, le avevo affidato un ruolo di riferimento per i giovani, mi piaceva pensare a lei come futuro segretario in un tempo non tanto lontano. Mi avevano colpito la sua schiettezza, il coraggio di esprimere sempre la propria opinione ed un’innata capacità di cogliere istantaneamente gli stati d’animo di ciascuno.
Miky riassumeva in quel contesto gran parte di ciò che di bello vedevo intorno a me ed ancora oggi, a distanza di tempo dalle mie dimissioni, se penso a quel periodo il primo pensiero è per lei. Per me rappresentava un piccolo tesoro da proteggere e se possibile valorizzare. Non mi era sfuggito infatti il suo bisogno di trovare persone di cui potersi fidare, di cui avere fiducia, una fiducia che personalmente credo di non avere mai tradito.
La ricordo con affetto correre a scusarsi per essere arrivata in ritardo ad un corso che avevamo organizzato perché gli avevano “solo” rubato l’auto, o andare via con la bottiglia vuota dell’aperitivo che le avevo offerto in un briefing improvvisato, o ancora arrivare a votare al rinnovo del coordinamento all’ultimo secondo prendendosi gioco amabilmente delle mie ansie.
E’ stata l’unica persona che ho sentito prima della riunione che ha determinato le mie dimissioni e, quando mi ha espresso con franchezza un’idea diversa dalla mia, l’ho invitata a votarmi contro senza esitazione pur sapendo che avrei potuto condizionarla e che quel voto poteva essere determinante. Miky infatti veniva prima di tutto.
Abbiamo continuato a tenerci in contatto anche dopo che le strade si erano separate attraverso i social networks. Ne seguivo a distanza con affetto le evoluzioni e le avventure, rappresentando tra l’altro per me un’istruttiva e simpatica finestra sul mondo giovanile, con i suoi sogni ed i suoi disagi.
Improvvisamente però quella fiamma si è spenta, in maniera tragica e profondamente ingiusta. Mi mancherà, ci mancherà.
A tutti coloro che l’hanno conosciuta e le hanno voluto bene il compito di tenerne viva la memoria, se è vero come è vero che una persona è veramente morta solo quando l’ultima persona che l’ha conosciuta non c’è più. A noi tutti il compito di stringerci amorevolmente intorno ai suoi genitori ed ai suoi familiari.
Ciao Miky


                                                                       Felice Marino  

domenica 6 novembre 2011

Prevedibilmente irrazionale

PREVEDIBILMENTE IRRAZIONALE
Noi tutti siamo convinti di essere razionali e le teorie economiche tradizionali si fondano proprio su questo assunto, o meglio sull’idea semplice ed irresistibile che noi siamo capaci di prendere le decisioni giuste per noi stessi. Nel suo libro “Prevedibilmente irrazionale” Dan Ariely, esperto di economia comportamentale, tratta al contrario il tema dell’irrazionalità dell’uomo, della sua distanza dalla perfezione. Anzi la tesi è che non solo siamo irrazionali, ma lo siamo in modo prevedibile, nel senso che la nostra irrazionalità si manifesta allo stesso modo ed allo stesso modo si ripete. A supporto di questa tesi Ariely offre i risultati di una serie di studi comportamentali, da lui stesso effettuati, alcuni dei quali mi piace simpaticamente condividere con voi.
Raramente le persone scelgono le cose in termini assoluti. Noi non siamo provvisti di uno strumento di misura incorporato, una sorta di metro interiore, che ci dice quanto valgono le cose in sé. Mediamente mettiamo a fuoco il vantaggio relativo di una cosa rispetto ad un’altra e ne stimiamo il valore di conseguenza. Noi guardiamo sempre alle cose che ci circondano in relazione alle altre e non possiamo farci niente, così metteremo sempre a confronto lavori con altri lavori, vacanze con vacanze, amanti con amanti e vini con vini. Tuttavia noi non solo tendiamo a paragonare le cose l’una con l’altra ma tendiamo anche a paragonare tra loro le cose facilmente paragonabili evitando di fare lo stesso con altre che non è semplice paragonare e questo i venditori lo sanno bene.
Difficile? No, facciamo un esempio. Supponiamo che stiate per acquistare una casa in una nuova città. Il vostro agente immobiliare ve ne fa visitare tre, tutte e tre interessanti solo che una casa è moderna e due sono in stile coloniale (cosa per voi trascurabile ). Tutte e tre sono nella stessa fascia di prezzo e tutte e tre sono appetibili. L’unica differenza è che una delle due case coloniali (l’esca) ha bisogno di un tetto nuovo e il proprietario ha diminuito il prezzo di poche migliaia di euro per coprire la spesa aggiuntiva.
Quale scegliereste? Ci sono buone probabilità che non scegliate la casa moderna e non scegliate la casa coloniale che ha bisogno di un tetto nuovo, ma l’altra casa coloniale. Perché? Il fondamento logico ( piuttosto irrazionale ) è che a noi piace prendere decisioni sul confronto. Di conseguenza saremo portati a scartare la casa moderna, non confrontabile, ed a preferire la casa coloniale in migliori condizioni che ci sembrerà preferibile a quella con il tetto da rifare.
Facciamo un altro esempio dell’effetto esca. Supponiamo che stiate pianificando di andare in luna di miele in una capitale europea e che siate indecisi tra Parigi e Vienna, le vostre città preferite (la condizione deve essere che non abbiate un gradimento privilegiato in partenza). Ora l’agente di viaggio vi presenta il pacchetto per entrambe le città, che comprende biglietto aereo, sistemazione in hotel, giro turistico della città e prima colazione inclusa. Supponiamo adesso che vi offrano in aggiunta una terza opzione e cioè Parigi senza colazione inclusa e senza una rilevabile differenza di prezzo (l’esca). Ci sono buone probabilità che scegliate Parigi con la colazione. Il meccanismo è sempre lo stesso, irrazionale e prevedibile.
Andiamo oltre. Non è un segreto: ricevere qualcosa gratuitamente è una gran bella sensazione. Si scopre che zero non è un prezzo come un altro. La parola GRATIS ci da una tale carica emotiva che percepiamo l’oggetto offerto come se valesse molto di più di quanto vale in realtà. Probabilmente dipende dal fatto che gli esseri umani hanno una paura intrinseca della perdita. Il fascino della parola GRATIS è legato a questa paura. Pensiamo ad esempio alle librerie on line che talvolta offrono la spedizione GRATIS a patto che si acquisti un libro in più o che si raggiunga un certo tetto di spesa. E’ probabile che una buona parte dei potenziali acquirenti pur non desiderando due libri siano disposti ad acquistarli pur di ottenere quella spedizione GRATIS. E’ molto facile cadere nella trappola di acquistare qualcosa che magari non si desidera per via di quella sostanza appiccicosa che si chiama GRATIS. La differenza tra due centesimi ed un centesimo è minima, ma la differenza tra un centesimo e zero è enorme.
Un’altra caratteristica umana è la tendenza ad attaccarci immediatamente a ciò che abbiamo, il caro prezzo della proprietà. In effetti la proprietà virtuale è la molla principale della pubblicità. Vediamo una coppia felice su un’auto sportiva decappottabile e immaginiamo di essere al loro posto. Riceviamo il catalogo di un famoso marchio d’abbigliamento, vediamo un capo che ci piace e immediatamente cominciamo a pensarlo nostro. Diventiamo proprietari parziali dell’oggetto anche prima di possederlo e c’e’ un altro modo di essere attirati nella trappola della proprietà. Spesso le aziende offrono promozioni “di prova”. Se abbiamo acquistato l’abbonamento al pacchetto base di programmi di una tv satellitare, ci possono allettare con una promozione speciale in cui il pacchetto completo ci viene offerto per tre mesi a 15 euro mensili invece che a 60. Ci diciamo che è comunque una prova e possiamo sempre tornare al pacchetto base una volta trascorsi i tre mesi. Ma una volta provato il pacchetto completo lo sentiamo subito nostro. Molti non torneranno più al pacchetto base. Un altro esempio dello stesso stratagemma è la formula “soddisfatti o rimborsati entro 30 giorni”.
Un’ultima considerazione, tra le tante offerte da questo interessante e divertente libro, riguarda gli effetti delle aspettative. Se dite prima a qualcuno che una cosa può non piacergli, ci sono buone probabilità che finisca per darvi ragione, non perché glielo dice l’esperienza ma a causa delle sue aspettative. Un po’ di anni fa alcuni studenti universitari americani furono coinvolti da Ariely in un semplice esperimento. Per una settimana fu offerto loro una tazza di caffè in cambio della loro disponibilità a rispondere ad alcune domande sulla miscela. Si formò subito la coda. Ricevuta la tazza di caffè veniva indicato agli studenti un tavolo su cui erano disposti latte, panna, zucchero bianco e di canna da aggiungere a piacimento alla bevanda. Sul tavolo c’erano anche alcuni ingredienti esotici (paprica dolce, noce moscata, chiodi di garofano etc.) pensati per lo stesso uso. Quindi veniva consegnato ai ragazzi un breve questionario dove avrebbero dovuto indicare quanto gli era piaciuto il caffè, se in futuro avrebbero voluto trovarlo a mensa e se sarebbero stati disposti a pagare per quel tipo di miscela. Durante la settimana furono cambiati quotidianamente solo i contenitori degli ingredienti esotici, passando da alcuni lussuosi ad altri meno, fino a semplici contenitori di polistirolo. La cosa incredibile è che nessuno utilizzò gli ingredienti esotici, ma se questi erano presentati in contenitori lussuosi era più probabile che gli studenti dicessero che il caffè gli piaceva molto e che sarebbero stati disposti anche a pagare per averlo. Se l’atmosfera al contrario era di basso livello anche il caffè veniva percepito come tale. Inutile ribadire che il caffè era sempre lo stesso.
Sostanzialmente quando crediamo che una cosa sia buona, in genere lo sarà. E quando crediamo che una cosa sia cattiva, lo sarà allo stesso modo. Ma quanto sono profonde queste influenze? Si limitano a cambiare le nostre convinzioni o cambiano anche la fisiologia dell’esperienza stessa? In altre parole, la conoscenza modifica realmente l’attività neurale alla base del gusto così che quando ci aspettiamo che una cosa sia buona (o cattiva) finirà per avere proprio quel gusto? Altri esperimenti in questo senso sembrano avvalorare proprio quest’ ultima tesi.
In definitiva certamente irrazionali, ma prevedibilmente irrazionali.

                                                                    Felice Marino
                                                                  aliama1@yahoo.it